Prologo
Questa è la cronaca di una settimana perfetta,
terminata con la notte di San Lorenzo, in cui ho visto solo due stelle cadenti e ho regalato i miei desideri perché ne stavo realizzando uno, quello di partecipare alla nascita di amicizie profonde tra persone sconosciute provenienti da posti e vite diverse. Il racconto ha due tempi, perché mentre scrivevo sono emersi ricordi legati agli amici che incontriamo e perdiamo per sempre e ho cercato di riempire quel senso di vuoto ascoltando la sonata K304 di Mozart, composta da giovanissimo in un periodo in cui si era separato dalla donna che amava ed era morta sua madre. La tonalità minore dell’allegro e del tempo di minuetto mi hanno accompagnata mentre attraversavo quel misto di gioia e di tristezza che diventa nostalgia ferita.
Allegro
È la notte di San Lorenzo e delle stelle cadenti, una notte magnifica sotto un cielo profondo e nero, coperta bucherellata da un’infinità di luci, che guardo pensando alle amicizie stellari della mia vita. La compagnia è allegra e triste e aleggia nell’aria lo spettro dell’ultima sera, uno spirito che rende tutto speciale e intenso, come spesso alla fine di una vacanza.
L’autogestione degli ospiti, che hanno deciso di coordinarsi in autonomia per cenare assieme ogni sera affidandosi al grande Alberto, è diventata occupazione. Nella mia cucina il protagonista è infatti un lupo enorme che con voce da basso tonante, resa delicata e rispettosa per l’occasione, mi ha chiesto: “Posso usare anche oggi la tua cucina?” Certo che sì, risponde il mio cuore sollevato da un’incombenza che a volte amo a volte odio. E così, come nel mondo di Alice, mi ritrovo da cuoca a ospite della sua mensa, quella che ho chiamato “Chez Albert, l’Antiquaire”, o “Da Lupo Alberto” per me Gallina Marta.
Cuoco di stazza, Alberto cucina in abbondanza, ha mani grandi, giganti, ma capaci di costruire miniature di oggetti, come la carrozza che mi ha mostrato in foto e che espone nel suo negozio di antiquario a Via dei Coronari a Roma. Da quando era bambino la sua passione è riprodurre monumenti in legno, intagliando, scolpendo e ricreando ogni dettaglio in scala ridotta, come nel caso di Palazzo Massimo su Corso Vittorio: la facciata con il colonnato in dimensioni minuscole, le sculture al suo interno e i microscopici bassorilievi.
Le sue grandi mani stasera contengono chili di rigatoni perché ha promesso a tutti la “cacio e pepe”, la più buona che abbia mai mangiato. È meglio persino di quella che trovi da “Cacio e Pepe” a Roma, dietro Piazza Mazzini, e forse più buona di quella di mio padre, quando ancora cucinava, e la sera, se il frigo era vuoto e mamma era stanca, si metteva ai fornelli per preparare, con abbondanza di pecorino e pepe a pioggia, quella pasta fatta di niente, di bianco e nero, di yin e yang, di un nulla pieno di sapore, che ti nutre perché ricco di sentimento.
Ce li siamo divorati i rigatoni di Alberto, lupo bonario pronto ad accontentare anche il palato di Lucia, preparando per lei una porzione a parte, senza il pepe perché a lei non piace, ma con un misto di cacio e uovo, tale da confezionare una carbonara senza pancetta, una ‘cacionara’ forse? L’assaggio anche io ed è proprio lei, una bella ‘cacionara’, giusta per farmi ridere del mio pianto, che stasera non si vuole proprio contenere.
Rido anche perché ho di fronte Giovanni di Castellammare, emigrato a Trieste, che ha avuto un’idea stasera e con gentile persuasione ha convinto tutti a seguirla: “E se ti prenotiamo la stessa settimana in Agosto 2019? Ci ritroviamo tutti qui, ci dai tempo fino a Gennaio? Ti confermiamo a inizio anno e tu puoi programmare di andare in vacanza in quella settimana. Vuoi andare al mare? Stai tranquilla, ci pensiamo noi all’agriturismo. Sempre se l’austriaco non si fa vivo, ma deve offrire almeno tre milioni, Il Cucciolo non vale meno di così”. L’austriaco è un personaggio che si è fatto vivo questa estate, manifestando il desiderio di comprare il nostro agriturismo per viverci con i suoi dieci cani. È arrivato, ha visto tutto quello che potevamo mostrargli, considerata la presenza preoccupata dei nostri ospiti, ed è sparito.
Vanni ripete “Dal 3 al 10” come un mantra, nutrendo la speranza che questa serata non sia una fine ma un inizio, perché lui sa di averci regalato la settimana che aspetteremo durante tutto l’anno a venire. È fatta, mi dico, la settimana perfetta volge al termine, quella dove navi provenienti da luoghi diversi si sono incontrate e hanno percorso un pezzo di mare insieme, accompagnandosi e creando legami che resteranno nella memoria di questo posto e di ognuno di noi. La navigazione continua in direzioni diverse ma ormai l’amicizia c’è, quella che fa emergere da ognuno il lato più lucente e lo trova riflesso negli altri.
“Dal 3 al 10”, ripete Vanni a Federica e Alberto. “Va bene per voi? Segna anche loro Marta. Tu vai pure, lasciaci i figli, li tengo d’occhio io. Lucia, invita pure chi vuoi, mi dai la lista e io ti dico chi va bene e chi no”. Federica è compagna di Alberto, ha un negozio di marmi a Via Panico, un posto storico dove la immagino addolcire persino le pietre con un sorriso che accoglie qualsiasi cosa. Il loro cane si chiama Augusto e si da arie da imperatore, pur essendo un tenero Cocker Spaniel che tutto si fa perdonare.
Giovanni parla che è una musica, quella del napoletano morbido, che rimane tale anche a Trieste, dove vive con Maria Rosaria, anche lei emigrata dal sud della Campania: “L’ho detto agli amici triestini. Il giorno che mi sentirete parlare con l’accento vostro, uccidetemi”. Sono una coppia giovane e forte, Vanni e Rosaria, Rosaria e Vanni, due anime riservate ma presenti, in compagnia del loro labrador Yago, un nome adatto a mettere alla prova il loro amore che si vede subito sarà abbastanza.
“Anche Ermanno e Roberta saranno della compagnia. Stasera sono andati a cena fuori ma appena tornano prenotano anche loro vedrai”, fa Vanni. “E poi convinco anche Paola e Claudio”. Paola è una coraggiosa leonessa, amica ritrovata da chissà quale esistenza passata, che mi ha chiamata ogni giorno questa settimana chiedendomi di sostenerla nella fede di cui siamo compagne. Recitiamo insieme la frase che ci guida, il Daimoku che illumina la rotta. Lei ha davanti una delle prove più dure che la vita ti regala e non ha risposte ma ha fiducia e mi regala la sua certezza di vittoria. Claudio, suo compagno in questa vita, veglia in silenzio. Si prende cura delle fedeli Diana e Nina, attaccate alla padrona con la colla a caldo dell’amore reciproco. Lui c’è, su lui ci puoi contare, porta lo stecco giusto per far partire il fuoco, quella voce cangiante che imita e incarna personaggi e usa con maestria l’ingrediente più prezioso nella vita, l’ironia da dosare in cucina per addolcire i piatti dolorosi.
“E allora Marta puoi partire”, continua Vanni. “Alberto sta in cucina, colazioni e cene le prepara lui”. Rivedo Alberto partire all’alba ogni mattina, raggiungere il paese e la pasticceria più buona, per tornare con un vassoio di cornetti stracolmi di crema. “Io mi occupo della piscina, controllo Lucia e i suoi amici e intrattengo i cani vostri e di tutti noi. Breon sta con noi qualche giorno, ci riceve, ci ragguaglia sulle cose da migliorare dopo un anno che non vede i nostri cani, e poi può partire anche lui e raggiungerti in vacanza. I cani li addestro io e poi facciamo fifty fifty!”
“Con quello che hai imparato in questa settimana”, risponde Breon, “sei meglio di tanti addestratori certificati che mi è capitato di incontrare”. A Giovanni brillano gli occhi, due stelle gioiose del bambino che è in lui. “Se la pensi davvero così, Breon, allora lasciaci pure soli, vai tranquillo, porta Marta in vacanza per una volta in estate”.
Valentina arriva con il gelato per tutti, viene da Milano ma è emigrata prima a Dublino e poi a Londra, ed è sposata con l’irlandese John. Sono arrivati in macchina da Londra con il labradoodle Ziggy e le due bambine Roisin e Fiorella, due fiori sbocciati dalla passione che esplode quando un irlandese incontra un’italiana! Hanno fatto approdare la verde isola qui tra le colline, da subito entusiasti, ognuno di poter esaudire un desiderio: il cane di correre nel campo, le bambine di nuotare in piscina, Valentina di rilassarsi finalmente, che anche in vacanza finisce che stai sempre a correre, e John di creare il suo Gazpacho. La prima mattina mi ha chiesto un mixer e qualche giorno dopo sentivo tutti lodare la sua creazione. “Ma quanto era buono”, diceva Roberta con la sua voce squillante e positiva.
Roberta di Reggio Emilia è ormai di casa qui da noi. Si muove disinvolta, consiglia gli ospiti su dove andare, aiuta a sparecchiare, trova posto alle cose, si gode la piscina e allieta le colazioni di tutti con una parlantina sempre allegra. Assieme a Ermanno e al loro cane Nicco, il pastore tedesco per eccellenza, dopo Cliff che li ha portati qui da noi la prima volta e poi purtroppo ha lasciato questo mondo passando il testimone al nuovo cucciolo, ci portano i sapori del parmigiano e del lambrusco, da condividere con tutti in quell’aperitivo che diventa cena e che è ormai una tradizione.
Con una tale comitiva, la grigliata di rito non ha dovuto aspettare il venerdì, ma è nata spontanea già di martedì. Perché, come dice Lupo Alberto: “Non er posto che fa la vacanza… ma star bene coll’amico e avé piena la panza…se poi ce sta Claudietto che te sistema tutto co no zappetto… co li du cagnolini e Paoletta, a Capodanno se famo startra vacanzetta. Poi co Rosaria e Vanni che pare che se conoscemo già da anni… e se viè pure Roberta con Ermanno… arimanemo da Marta tutto l’anno”.
Tempo di Minuetto
È mancata la musica in queste serate improvvisate. Non ho potuto non pensare a Carlo e alla sua chitarra. Ovunque tu sia, amico perduto, avrai sentito le nostre risate? Noi abbiamo condiviso il dolore di saperti irraggiungibile, ricordando con gli occhi lucidi le serate accompagnate dal tuo canto e dalle tue note, quando solo due estati fa ci regalavi un concerto ogni sera, in compagnia di Rossella e del vostro bellissimo labrador Mirò, dal colore del cacao.
Eri con noi negli occhi lucidi di Ermanno, che raccontava della vostra avventura in bicicletta, spinti a cercare il Medioevo in cima al Monte di Santa Maria Tiberina, da dove ripartire in discesa, come Benigni e Troisi verso l’America. C’eri nelle parole taciute di Roberta, che non le ha trovate perché il suo dolore non si esprime a parole, quelle servono a trasformarlo, a cambiare prospettiva, ad attraversarlo, ma il silenzio di una parlantina come la sorgente di montagna che sgorga da Roberta la mattina è quello giusto per provare a consolare.
Eri presente nel coro di Gaetano e Claudia, in quelle serate di allora e di oggi, mentre esprimevano il loro dolore composto, misto alla commozione di aver perso due delle loro quattro principesse, la barboncina Annette e la mini Schnauzer Topsy.
C’eri nel mio cuore e ci sarai sempre, maestro di note e di vita, seduto a insegnare i segreti del tuo strumento a Lucia, per poi farla suonare e cantare insieme a te e regalarci quella serata meravigliosa in cui hai accompagnato il canto degli americani sbarcati qui in Italia. Quel magico tempo in cui vedo Breon, Simon e Lucia, in piedi con la mano sul cuore, cantare il loro inno in sintonia perfetta con le tue note e con il coro delle rane dal laghetto.
Ci penso mentre guardo l’arcobaleno, un ponte che attraversa il cielo appena scosso dal temporale. E mi vengono in mente le parole della canzone di Simon and Garfunkel “Like a bridge over trubled water”, che associo agli amici che incontriamo durante la navigazione, quelli dei quali seguiamo la scia e quelli che ci seguono in silenzio e ci accompagnano quando ci sentiamo soli.
Carlo aveva l’ingrediente segreto per accontentare tutti i palati, cucinava piatti di canzoni e suonava per ore, instancabile e inesauribile, rispondendo alle richieste di ognuno. Ha navigato con noi per un’estate. Ci ha fatto conoscere la volpe che si affacciava dal bosco, alla quale ogni sera dedicava il suo canto, l’ha addomesticata come il piccolo principe della storia più bella, e poi si è allontanato in solitaria, nel mare della vita, inabissandosi a pescare perle di memorie indelebili da lasciarci in eredità.
Finale
Ho finito di scrivere questa cronaca qualche giorno prima del crollo del ponte Morandi a Genova. E ho condiviso in silenzio il lutto nazionale per le vittime. Ho provato anche io quel sentimento di incredulità e di dolore di fronte a una tale tragedia che ha spezzato vite e reciso legami. La voragine che si è aperta a Genova è uno specchio di quel vuoto incolmabile che si apre nell’animo quando crolla il ponte tra noi e chi amiamo e perdiamo per sempre. Il silenzio aiuta a lenire quel dolore. Il silenzio, la memoria e, come piaceva ad Alda Merini, la cura nello scegliere le parole da non dire.
di Marta Cerù